AREA RISERVATA

Login to your account

Username
Password *
Remember Me
Back Sei qui: Home Home   L'opinione

LA FASCINAZIONE DEL NATALE SA SEMPRE SEDURRE

FfxBHU9XkAEE1ZiSebbene alcuni non lo
amino molto, avversi alle
canzoncine smielate, al
rituale dei regali e alla
visita ai parenti, qualche
miliardo di terrestri si prepara
a vivere il Natale con
immutato trasporto.
Dei suoi originari valori religiosi, si sa,
nel mondo poco è rimasto, avendo
il Natale progressivamente assunto
la veste di esclusiva ricorrenza laica,
ricreativa e consumistica, ma indubbiamente
esso ogni volta sollecita il
riaffiorare di sensazioni e sentimenti,
retaggio delle ingenue e magiche atmosfere
natalizie di un tempo, che
molti degli "enti" ed "enta" di oggi non
hanno potuto conoscere.
Poco importa se magari il momento
più coinvolgente lo si viva il 24 e non
il 25 dicembre; la sera della vigilia la
tavola apparecchiata, le sorprese, il
panettone, la sensazione di tornare
bambini e di essere avvolti dall'affetto
delle persone importanti, per chi è
fortunato nel poterlo rivivere è sempre
un revival emozionale, una ricarica di
positività. La fascinazione del Natale
sa sempre sedurre. Anche per coloro
che il Natale non lo vivono nei suoi
contenuti religiosi, i messaggi di pace
e di speranza che esso reca con sé si
respirano amplificati dai contesti familiari
o di amicizia in cui ci si ritrova per
festeggiarlo. Il messaggio cristiano di
unione e di solidarietà verso il prossimo
dopo quasi due millenni di storia
celebrativa del Natale giunge sempre
puntualmente vivo, e sta solo nella
sensibilità individuale il saperlo cogliere.
Nulla a che vedere dal punto di
vista emozionale con le altre celebrazioni,
esclusivamente conviviali, del
31 dicembre; occasioni queste ultime
prive totalmente di pathos e smaccatamente
consumistiche.
Certamente si è consapevoli di come
queste ricorrenze, alimentate da un
sentimento di condivisione col prossimo
di un momento di festa, e motivo
di intimo piacere, possano accentuare
invece il disagio di coloro che si trovano
nell'indigenza e nel bisogno, di chi
ha problemi relazionali e, non lontano
da noi, di chi si trova in una trincea
gelata in combattimento.
Il vero Augurio all'umanità intera è che
il messaggio di speranza e di nuovo
inizio che porta il Natale possa far
breccia nelle cieche ambizioni dei governanti
del mondo.

L'ORA DEI CAMALEONTI

ParlamentoItaliano.jpg.728x445.jpgScorre allegramente la sabbia della clessidra che scandisce l'avvicinamento dell'evento che appassiona di più gli italiani dopo Sanremo e i Mondiali di calcio: le elezioni politiche. Gli architetti in tempi da record hanno approntato ad hoc i nuovi studi fiammanti delle emittenti televisive che ospiteranno per settimane l'avvicendarsi di illustri ospiti, da trent'anni stucchevolmente sempre quelli, con rare e spesso poco edificanti eccezioni. Parimenti radio, giornali e social di ogni tipo hanno moltiplicato gli opportuni spazi in cui incanalare i quotidiani aggiornamenti sull'ebollizione della pentola. Ormai i canovacci sono ampiamente collaudati con gratificanti indici di ascolto. Chiunque per otto settimane potrà seguire il Grande Fratello della politica italiana, amplificato e non criptato, dei cui protagonisti già tutto sappiamo, e dei quali il popolo utente attende solo il destreggiarsi in diretta di volta in volta coi relativi riscontri di gradimento. Il circo equestre in grado di far assurgere dall'oggi al domani persone dal curriculum vuoto a prestigiose cariche politiche della Repubblica è già in pieno fermento. D'altronde quale occasione più ghiotta per assicurarsi stipendi da favola, pensioni e vitalizi, grazie ad una legge elettorale creata ad hoc dai propri protagonisti per garantire non una governabilità, ma il mantenimento del proprio scranno grazie a criteri che prevedono per i non eletti ripescaggi, riammissioni proporzionali, ecc.? E poi, se ci si accorgesse di non essere cascati dalla parte dei vincitori, c'è sempre l'escamotage del cambio di maglia, in barba al mandato ricevuto dai propri elettori; i voltagabbana, spontanei o a pagamento, sono quanto mai ambiti. Gli ultimi episodi legati alla caduta del governo Draghi non fanno altro che confermare che i luoghi comuni e le battute sarcastiche riguardanti l'opportunismo in cui sguazza il mondo politico sono amaramente giustificati. Insomma, come ogni volta, ad ogni elezione, si spera nel miracolo che spunti dal nulla un candidato autorevole, moderato, interessato solo al bene della gente, che faccia tornare la voglia di andare a votare.

I MIGLIORI PER QUALITÀ DELLA VITA . SIETE SICURI?

Lo dice il quotidiano economico giuridico-politico “ItaliaOggi”, che cura la più completa indagine sulla qualità della vita in Italia: Mantova è la città dove si vive meglio nel nostro Paese. Dopo il grande riconoscimento, e l’anno di grazia come Capitale della Cultura italiana del 2016, Mantova raggiunge un nuovo primato che la rende non solo una meta imperdibile per i turisti, ma anche una città dove vivere al meglio. Siamo certi che sia tutt’oro quel che riluce? Certamente la classifica di

ItaliaOggi tiene conto di innumerevoli fattori: servizi, reddito pro capite, occupazione, criminalità, salute.

Ma se si tenesse conto prioritariamente dell’ultima voce dell’elenco, la salute, che in fin dei conti è ciò che più influenza la qualità della vita, Mantova meriterebbe questa privilegiata reputazione attribuitale dalla stampa? L’area industriale di Mantova è stata inserita dal governo nella lista dei «Siti inquinati di interesse nazionale», ovvero delle peggiori bombe ecologiche del nostro Paese, luoghi dove una bonifica profonda sarebbe necessaria e urgente.

Ma anche qui come a Brindisi (Italsider), Portoscuso (polo industriale sardo di Portovesme) e Priolo (polo petrolchimico nel siracusano) poco o nulla si è fatto: perché non ci sono soldi e, soprattutto, nessuno li vuol spendere. La nostra “migliore qualità di vita” è abbinata ad uno dei più alti tassi di cancro nella popolazione italiana. Vien da chiedersi: “chissà come son messi gli altri!” Che il cancro sia riconducibile all’alimentazione ricca di grassi animali tipica delle popolazioni benestanti (quella mantovana lo è) è però una teoria ancor tutta da dimostrare.

E’ invece molto più convincente la teoria (in molti casi provata, vedi amianto ecc.) che gravissimi mali, non solo cancro, siano dovuti agli avvelenamenti ambientali che contaminano cibo, acqua e aria. Nel Mantovano stranamente non ci si sente così colpiti come attestano studi di elevata attendibilità. Finché non si annovera un caso drammatico in famiglia il problema pare non esistere. E’ un altro male, non fisico, degli italiani: sinché non si è colpiti in proprio da un problema grave non ci sensibilizza sui problemi altrui. Le cronache nazionali ci stanno riportando gli allarmanti dati che si registrano a Montichiari (Bs).

Meno gente sicuramente muore di ictus e infarto, ma più persone si ammalano di cancro. C’è una correlazione diretta con l’inquinamento e le discariche? «La letteratura scientifica – dice Michele Magoni responsabile dell’osservatorio epidemiologico dell’Asl– non stabilisce un rapporto diretto causa-effetto». Tuttavia, è lo stesso responsabile a sottolineare che i tumori, nel bresciano, sono il 12% in più della media nazionale negli uomini e il 6% in più nelle donne”. Tirate

voi le somme. 

Un carnevale con e senza maschere

DonnaconmascherinaSaggiando i gusti degli italiani Febbraio non è mai stato tra i mesi più gettonati dell'anno, con l'unica eccezione del Festival di Sanremo e del Carnevale. Anche negli oggi rimpianti anni pre-covid diciamo che, a parte le puntate degli appassionati di sci sulle piste innevate, Febbraio ha sempre rappresentato solo il periodo di lento risveglio dal letargo invernale. Giornate più lunghe, pomeriggi più assolati e prime viole sui declivi esposti a mezzogiorno. C'è la timida ripresa degli hobby outdoor, qualche trasferta in città d'arte, voglia insomma di rivivere senza essere osteggiati da colori sanitari regionali e super green pass. La cappa di norme anti-covid da osservare continuerà a condizionare molte scelte, ma rispetto allo scorso anno i vaccini hanno di gran lunga stemperato il clima da incubo in cui si è vissuto. I locali sono nuovamente frequentati, idem gli stadi con la ripartenza degli avvenimenti sportivi internazionali, i musei si sono rilanciati, e via dicendo. Le diatribe sulle misure politiche adottate infiammano sempre i media, ma con l'erigersi del tendone del circo equestre dell'elezione del Presidente della Repubblica ecco che i titoli riguardanti la caccia al Colle hanno surclassato quelli di cui non se ne può più ormai da troppo tempo. Si è tornati poi ad accapigliarsi sulle legittimità delle sanzioni comminate ai novax, ma ecco che alcune serate canore son bastate per cancellare momentaneamente tutto per lasciar posto ai titoli riguardanti il Festival. C'è insomma una gran voglia di "altro" rispetto a ciò che ci tiranneggia da due anni. Forse non ci saranno le sfilate dei carri di Viareggio a ritagliare una nuova pausa dalle tribolazioni primaverili, e le magie trasformiste del carnevale di Venezia potrebbero nuovamente subire filtri numerici, ma a fine mese, con l'apertura ufficiale del carnevale, le mascherine all'aperto non saranno più obbligatorie, e quelle invece presenti sui carri significheranno che si prova nuovamente a ripartire, e questa sarà la volta buona.

NEL CAPPIO DEL CONSUMISMO

Alcuni anni fa il terrore di una imminente crisi energetica innescò un asfissiante campagna votata al risparmio di materie prime, petrolio in primis, promuovendo le tecnologie più sofisticate per raggiungere tale scopo (impianti fotovoltaici, ecc.). Il petrolio a 150 dollari al barile (il barile è un'unità di misura, che per il greggio corrisponde a circa 140 kg), in prospettiva di raggiungere i 200 dollari secondo gli auspici di despoti e dittatori di noti Paesi produttori, pareva rappresentasse lo strangolamento dell'economia occidentale. Oggi il petrolio costa circa 30 dollari al barile, un quinto di quanto costava allora, e la stampa specializzata imputa a questo prezzo stracciato tutti i mali dell'economia stagnante. Risparmiamo parecchio per riscaldare la casa, risparmiamo di bolletta elettrica (le centrali funzionano a gas, che segue pari pari il prezzo del petrolio, quindi oggi a prezzo bassissimo), risparmiamo un sacco al distributore di benzina, e via dicendo, ma per l'Economia questo è un Male. Sì, perché i prodotti delle nostre industrie vengono acquistati prevalentemente dai Paesi emergenti, produttori di petrolio e materie prime, che impoveriti dai prezzi così bassi dei loro prodotti ora non guadagnano più, e non comprano più nulla. In poche parole le nostre industrie, per creare posti di lavoro e spingerci a consumare e dar slancio alle produzioni, devono sperare prima nei consumi delle enormi popolazioni dei paesi emergenti africani ed asiatici che ci vendono petrolio, gas, ferro, alluminio, e via dicendo. Insomma un cane che si morde la coda. Un chiaro quadro di come la vita sul Pianeta sia orchestrata dal consumismo avanzato, sul possesso di beni eccedenti quelli necessari ad una vita dignitosa, e questo sino a quando ci sarà materia "consumabile". Una corsa a chi venderà per primo a sette miliardi di persone il telefonino, lo scooter, l'auto, il forno a microonde, ecc., sperando che un consumismo trascini l'altro, per creare nuovo lavoro, nuove attività, nuova ricchezza. La pubblicità ci induce, tramite spot che trasmettono le immagini di esistenze perfette quanto irreali, a consumare sempre di più prodotti di cui non abbiamo alcun bisogno. Di più: essa non si limita a vendere prodotti, bensì propaganda sogni, modelli di vita (che attirano da noi milioni di extracomunitari!), da perseguire e imitare, pena un doloroso sentimento di inadeguatezza. Dal canto loro gli economisti ci assicurano che soltanto incrementando i consumi ricostruiremo un'economia sana e vincente. Intanto il nostro livello di consumi erode le riserve naturali del pianeta e mette probabilmente a rischio la vita sulla Terra entro la fine del nostro secolo. Se anche i Paesi in via di sviluppo adotteranno in futuro il nostro modello di consumo occidentale, non vi saranno materie prime accessibili per tutti, e il nostro sconsiderato consumismo aprirà scenari a dir poco inquietanti.

Denaro, eutanasia del tifo sportivo

8
E' curioso che un articolo di fondo si occupi del campionato di calcio e dell'ennesima vittoria della squadra più blasonata a livello nazionale quando di calcio sono pieni i palinsesti televisivi. Con queste note vorremmo invitare ad una riflessione sul calcio, ma anche sullo sport in generale, che ha segnato tanti momenti entusiastici e spensierati della nostra vita.
Come è risaputo il mondo calcistico italiano annovera il nono scudetto consecutivo vinto dalla Juventus. Si tratta di vera gloria sportiva, oppure non è che lo scontato esito della monopolizzazione internazionale dello sport da parte del denaro?
Negli ultimi dieci anni un'esplosione esponenziale di introiti economici da diritti televisivi, sponsorizzazioni, diritti pubblicitari, merchandising, partecipazione ad eventi, ecc., ha creato in ogni nazione una squadra smaccatamente prevalente sulle altre, con prospettive di vero e proprio dominio sportivo irreversibile.
Ma attenzione: se la Juventus ha vinto gli ultimi nove campionati italiani dominando, stessa cosa è avvenuta nelle altre principali nazioni: nove campionati in fila vinti pure in Germania dal Bayern, in Francia dal Paris SG, in Spagna da Real Madrid e Barcellona (da loro 24 degli ultimi 25 campionati spagnoli), in Russia dallo Zenith e dal CSKA e l'elenco di "dominanti" sarebbe lungo; squadre che poi si contendono tra loro pure le coppe più prestigiose. Tornando al campionato italiano la Juventus fattura 450 milioni (contro i 200 di Milan, Napoli, Atalanta ecc.) e paga stipendi per 250 milioni, contro i 100 delle altre squadre che cercano di contenderle il campionato.
Tradotto in effetti pratici, la Juventus può contare su una foltissima rosa di giocatori blasonati e dagli ingaggi stellari (60 milioni lordi annui solo per Ronaldo), e siccome il calcio non lo si vince a parole ma coi fatti sul campo, le possibilità delle altre squadre di ostacolarla sono praticamente pari a zero. Certo, può accadere in una partita, ma non nell'arco di un campionato. Agli altri solo pie illusioni, vendute ad arte dai media che devono pur autosostenersi, nonostante il finale sia già scritto sin dall'inizio. Il meccanismo perverso per cui nello sport la ricchezza attira altra ricchezza, a scapito di chi ricco non lo è, in questi ultimi dieci anni ha distrutto quel che è l'essenza dello sport mondiale: la competizione paritaria. Avviene nel basket, nell'automobilismo, nel motociclismo, in quasi tutti gli sport di squadra in cui c'è sempre stata la prevalenza dei più forti economicamente, ma che un tempo non era così spropositata e permetteva anche l'affermarsi periodico di qualche outsider. A livello nazionale il Bologna, il Cagliari, il Verona, la Fiorentina e la Sampdoria un tempo potevano vincere un campionato e, a livello mondiale, il mitico Vittorio Brambilla poteva conquistare il Gran Premio d'Austria su una ordinaria March-Ford Cosworth.
E' un vero peccato che il piacere e le speranze del tifo dei più deboli siano soffocate (per sempre?) dalla dittatura del denaro.

LA COMETA OFFUSCATA

Ci stiamo preparando ad un Natale scolorito, offuscato dalle ombre di orrori inenarrabili, e anemizzato dalla paura. Il terrorismo islamico con le sue atrocità, non potendo colpire tutto il mondo occidentale fisicamente, è riuscito a farlo però psicologicamente. Se togliere la sicurezza e la serenità, e instaurare il dubbio, era l'obiettivo prioritario delle bombe umane dell' Isis, esso è stato centrato con un'efficacia disarmante. Quanto impiegheremo a riacquisire le nostre certezze e la nostra pace nelle loro massime espressioni? Per quanto tempo invece continueremo a sentirci sotto tiro, noi, i nostri cari, il nostro lavoro, i nostri interessi, il nostro futuro? Impossibile dare una risposta, ma tutto fa presagire che le tensioni permarranno, e a lungo; che la frequentazione dei luoghi e dei mezzi pubblici non avverrà più senza patemi d'animo. C'è la sensazione che qualcosa si sia rotto per sempre nella nostra naturalezza di vivere. Come siamo arrivati a ciò? Il mondo occidentale non è scevro di colpe. Se il terrorismo islamico è responsabile di barbarie inaudite, da anni esiste una barbarie "consentita": le responsabilità dell'Occidente sono pesanti e innegabili. Prima il colonialismo, con l'umiliazione di una grande civiltà, poi il prolungato appoggio a dittatori seguito più recentemente da interventi militari che non hanno solo rovesciato i tiranni, ma hanno smantellato gli Stati che si pretendeva di liberare generando anarchia e frammentazione politico-territoriale; l'integrazione solo apparente di comunità di vecchia e nuova immigrazione in realtà discriminate e ghettizzate economicamente e socialmente. Determinante sarebbe ora tentare una soluzione diplomatica per placare questo avvitamento di violenze. Se non sarà possibile, se ci si incanalerà in uno scontro ad oltranza, altre lugubri pagine di storia si susseguiranno a quelle appena vissute.
Come al solito sarà la politica economica mondiale a prevalere su falchi e colombe, su buonisti ed interventisti. Se vogliamo spezzare una spirale che minaccia di travolgerci tutti e ridurci tutti a un più basso livello di umanità e di civiltà, ci sarà molto lavoro da fare. Per noi e per loro. Ma ciascuno dovrà avere il coraggio di partire dal riconoscimento delle proprie colpe, delle proprie responsabilità.
Auguriamoci, per il bene delle generazioni future, affinché queste ultime possano godere di situazioni di pace ed armonie non solo natalizie, che possa verificarsi un miracolo di pace; che la cometa natalizia torni ad apparirci luminosa.

Denaro, eutanasia del tifo sportivo

pexels-pixabay-259027E' curioso che un articolo di fondo si occupi del campionato di calcio e dell'ennesima vittoria della squadra più blasonata a livello nazionale quando di calcio sono pieni i palinsesti televisivi. Con queste note vorremmo invitare ad una riflessione sul calcio, ma anche sullo sport in generale, che ha segnato tanti momenti entusiastici e spensierati della nostra vita.
Come è risaputo il mondo calcistico italiano annovera il nono scudetto consecutivo vinto dalla Juventus. Si tratta di vera gloria sportiva, oppure non è che lo scontato esito della monopolizzazione internazionale dello sport da parte del denaro?
Negli ultimi dieci anni un'esplosione esponenziale di introiti economici da diritti televisivi, sponsorizzazioni, diritti pubblicitari, merchandising, partecipazione ad eventi, ecc., ha creato in ogni nazione una squadra smaccatamente prevalente sulle altre, con prospettive di vero e proprio dominio sportivo irreversibile.
Ma attenzione: se la Juventus ha vinto gli ultimi nove campionati italiani dominando, stessa cosa è avvenuta nelle altre principali nazioni: nove campionati in fila vinti pure in Germania dal Bayern, in Francia dal Paris SG, in Spagna da Real Madrid e Barcellona (da loro 24 degli ultimi 25 campionati spagnoli), in Russia dallo Zenith e dal CSKA e l'elenco di "dominanti" sarebbe lungo; squadre che poi si contendono tra loro pure le coppe più prestigiose. Tornando al campionato italiano la Juventus fattura 450 milioni (contro i 200 di Milan, Napoli, Atalanta ecc.) e paga stipendi per 250 milioni, contro i 100 delle altre squadre che cercano di contenderle il campionato.
Tradotto in effetti pratici, la Juventus può contare su una foltissima rosa di giocatori blasonati e dagli ingaggi stellari (60 milioni lordi annui solo per Ronaldo), e siccome il calcio non lo si vince a parole ma coi fatti sul campo, le possibilità delle altre squadre di ostacolarla sono praticamente pari a zero. Certo, può accadere in una partita, ma non nell'arco di un campionato. Agli altri solo pie illusioni, vendute ad arte dai media che devono pur autosostenersi, nonostante il finale sia già scritto sin dall'inizio. Il meccanismo perverso per cui nello sport la ricchezza attira altra ricchezza, a scapito di chi ricco non lo è, in questi ultimi dieci anni ha distrutto quel che è l'essenza dello sport mondiale: la competizione paritaria. Avviene nel basket, nell'automobilismo, nel motociclismo, in quasi tutti gli sport di squadra in cui c'è sempre stata la prevalenza dei più forti economicamente, ma che un tempo non era così spropositata e permetteva anche l'affermarsi periodico di qualche outsider. A livello nazionale il Bologna, il Cagliari, il Verona, la Fiorentina e la Sampdoria un tempo potevano vincere un campionato e, a livello mondiale, il mitico Vittorio Brambilla poteva conquistare il Gran Premio d'Austria su una ordinaria March-Ford Cosworth.
E' un vero peccato che il piacere e le speranze del tifo dei più deboli siano soffocate (per sempre?) dalla dittatura del denaro.

Il rovescio della medaglia del benessere

Il problema dell'immigrazione continuerà
a coinvolgerci per decenni. Che
si tratti di fuggiaschi da Paesi martoriati
dalla guerra oppure semplicemente
di persone attirate dal tenore di vita
occidentale, quindi in fuga solo dalla
miseria, attendiamoci che il fenomeno
si incrementi in modo costante.
Sull'argomento si è già detto e scritto
moltissimo.
MantovachiamaGarda molti mesi fa, in tempi non
sospetti, prima che esplodesse il caos che ormai
ha interessato tutta l'Europa non solo meridionale,aveva già espresso al riguardo alcune opinioni
nell'articolo "Quando eravamo noi a emigrare".
Parlando però di questi esodi, che al loro termine
risulteranno di proporzioni bibliche, si era lungi dal
prevedere la reazione altamente intollerante delle
popolazioni dei vari Paesi in cui si sta verificando
l'afflusso di tutte queste persone indigenti. A ridosso
dell'Europa esiste una cintura di stati africani e
mediorientali con popolazioni poverissime e in gran
parte ora esposte a traversie belliche di cui non si
vede una soluzione: complessivamente centinaia
di milioni di persone che vedono un futuro solo nella
"ricca" Europa. Come ha affermato anche Papa
Francesco nulla arresterà la loro ricerca di una vita migliore, non il mare, non i fili spinati. "Senza un
orizzonte di speranza e crescita", in Paesi come
l'Etiopia, l'Eritrea e l'Armenia, "non potrà arrestarsi
il flusso migratorio che vede figli e figlie di quella
regione mettersi in campo per giungere alla coste
del Mediterraneo, a rischio della vita". Proprio
Francesco ha rivolto un forte appello alla comunità
internazionale anche per la situazione in Medio
Oriente ove serve uno sforzo per eliminare quei "taciti
accordi per i quali la vita di migliaia di famiglie
- donne, uomini, bambini e anziani - sembra pesare
sulla bilancia degli interessi meno del petrolio".
Le vie migratorie sono già state tracciate, se
interrotte ne fioriranno altre. Sta iniziando, è
già iniziata, una vera e propria invasione, dagli
sviluppi futuri assolutamente imprevedibili, che
cambieranno indelebilmente il volto e il tessuto
sociale del nostro continente.
Sarà un duro esame per la nostra civiltà: incresciose
conflittualità già si registrano, contrasti che
nascono dal fatto che la gente italiana è stanca di
non sentirsi più a casa propria. Sono ahimè molti
gli extracomunitari, di passaggio oppure da anni
residenti nel nostro paese che, a differenza di tanti
loro connazionali, hanno purtroppo rifiutato, spesso
con arroganza, di integrarsi civilmente nel tessuto
sociale di chi ha dato loro ospitalità, scegliendo
di frequente una vita fatta di espedienti e delinquenza.
Serve indubbiamente più Stato, più fermezza,
più coscienza ma, non dimentichiamocelo,
anche più solidarietà verso chi cerca con umiltà e
onestà una nuova vita. Alcune organizzazioni non
governative chiedono la creazione di corridoi umanitari
sotto tutela delle Nazioni Unite e anche che
le ambasciate e i consolati europei possano, già in
Africa, avviare le procedure di riconoscimento dello
status di rifugiato. Le iniziative da intraprendere
che potrebbero aiutare a evitare il protrarsi di tragedie
sono da prendere, in fretta, senza tanti giochi
di potere. In gioco ci sono migliaia di vite umane.
Marco Morelli

NULLA SARA' COME PRIMA

Siamo in pieno marasma mondiale. Nessuna nazione ne è esclusa. E nessuno sa cosa accadrà nel futuro. Osserviamo attoniti, o peggio, distrutti nei nostri sentimenti se colpiti in famiglia, il moltiplicarsi di drammi umani inenarrabili. Improvvisamente tutto è in gioco: la sopravvivenza, il lavoro (da datore o da dipendente), i sogni, il domani. Il clima è di angoscia, di avvilimento, ma dove regna ignoranza affiorano anche atteggiamenti di sufficienza, di insofferenza alle norme adottate per arginare la pandemia. Un crogiuolo di sentimenti alimentati dall'impotente passività cui si è ostaggio. Unica espressione di valori eccelsi in questo scoramento sta nell'eroico impegno degli operatori sanitari che mettono in gioco quotidianamente la propria vita per salvarne altre.
Un giorno ne usciremo, ma nulla sarà più come prima. Nemmeno quando questo incubo verrà emotivamente metabolizzato. Il Covid19 sparirà? potrà riaffiorare? potrà diventare ricorrente? Nessuno può dare ora una risposta. E d'ora in poi vivremo di nuove ansie anche al minimo manifestarsi in regioni remote di epidemie importabili di altra natura.
Tutto questo evidenza impietosamente la piccolezza dell'uomo, mascherata da stupefacenti conquiste tecnologiche che sembravano sancire la progressiva padronanza del pianeta da parte dell'homo sapiens. Mentre saranno sempre e solo le leggi della Natura a consentire o meno l'esistenza delle nostre presunte civiltà.

CRISTIANI, ISLAMICI O SEMPLICEMENTE ATEI ?

Quotidianamente nelle cronache radio-televisive udiamo, utilizzato talvolta a sproposito, il termine “islamico”. Di questo termine, come quando si parla di “cristiano-cattolico”, ci siamo fatti un’idea fortemente orientata a contenuti religiosi, e ciò condiziona la nostra interpretazione degli avvenimenti. Sì, perché tutto quanto è di estrazione religiosa occidentale ci appare lecito o quantomeno accettabile, mentre tutto quanto suona di “Islam” siamo subito orientati a giudicarlo un corpo estraneo nella nostra cultura, e negativo. Non nascondiamoci che sono veramente pochi i cittadini “buonisti” indotti dalla propria magnanimità ad accogliere a braccia aperte i praticanti dell’islamismo. Nella maggior parte della popolazione prevale diffidenza, indifferenza nel migliore dei casi. Il motivo, quando non sia giustificato dall’aspetto esteriore di questi neo-cittadini pervenuti da terre lontane (trascuratezza nell’abbigliamento, ritrosia comunicativa, educazione civica spesso carente secondo i parametri nostrani, ecc.) è dovuto in buona parte ad una sensazione di usurpazione del nostro territorio e di invasione di campo dei nostri costumi sociali, più che non a timore di atti delinquenziali, aspetto quest’ultimo comunque non trascurabile. Ma ad una obiettiva valutazione delle nostre correnti terminologie, dovremmo accorgerci come coi termini “islamico” o “cattolico” si voglia sottintendere l’estrazione socio-culturale di un individuo, più che non la sua matrice religiosa. E’ assodato che larga fascia degli immigrati nel nostro Paese dal nord-Africa o dal medio-oriente non è assolutamente praticante, come del resto è ormai religiosamente praticante solo una ristrettissima fascia della popolazione occidentale. Che senso ha quindi parlare di islamici e di cattolici riferendoci a laici spesso profondamente agnostici o atei? Proprio nessuno. Lasciamo quindi perdere i riferimenti religiosi. Se terroristi e guerrafondai fanno appello all’Islam per giustificare le proprie politiche ed i propri atti orripilanti, lo fanno alla stessa stregua della nefandezze che hanno macchiato la religione cristiana in altre epoche (Crociate, Inquisizioni, ecc.). Eccessi criminali originati da devianti interpretazioni di una religione fini a giustificare violenze a scopo politico-sociale. Attività belliche e atroci soprusi che non hanno nulla a che fare con le religioni medesime. Per cui , parlando di politica e cronache di guerra , per individuare i protagonisti sforziamoci di utilizzare aggettivi alternativi a quelli recanti connotati religiosi; saranno certamente più appropriati e scevri di ipocrite attribuzioni. 

 

NON SPARATE SU GRETA

Che le vitali problematiche dello sconvolgimento climatico planetario in atto abbia come portavoce mondiale una ragazzina svedese di diciasette anni è cosa che entusiasma o irrita con pari intensità. Entusiasma coloro che avvertono il grido di dolore di un pianeta ferito e condividono il passionale impegno di Greta Thurnberg per sensibilizzare i governi del mondo. Irrita invece coloro che identificano il personaggio come un guastatore creato ad hoc da frange anti-capitaliste per subdole finalità non supportate da solide basi scientifiche, o semplicemente un geniale business inventato dai suoi familiari. Accade così che, come spesso accade, ci si divida, e Greta oscilli tra l'essere concepita come una moderna Cassandra (nella mitologia greca la profetessa di sciagure che i Troiani non ascoltarono andando incontro alla loro fine), quindi un buffo burattino da sbeffeggiare, oppure l'essere additata come una timida ma ardente Giovanna d'Arco, votata a radunare le coscienze mondiali in una ribellione contro i danni ambientali causati dal cieco sfruttamento della Terra. Comunque si voglia considerare Greta il problema di fondo esiste, è immenso, impossibile da risolversi in tempi brevi. Un treno in corsa che si può solo progressivamente frenare con collettive misure economico-industriali; e al momento non si saprebbe come. Ciò sta creando il più elementare dei populismi: la divisione del mondo in "buoni" (i molti, di fatto gli abitanti del pianeta, il popolo inteso in questo caso come "umanità") e "cattivi" (i pochi, i capi di governo e gli esponenti dell'establishment finanziario e industriale mondiale). Ciò che potrebbe portare in futuro a prese di posizione socio-politiche dagli esiti tutti da verificare. Secondo la scienza non c'è né urgenza né crisi irrimediabile. Ma la scienza spesso sbaglia, non riuscendo a risolvere problemi ben conosciuti e ben tangibili (molte banali malattie ad esempio), e quindi diffidare delle attuali evanescenti ipotesi e teorie scientifiche legate ai cicli climatici è ampiamente giustificabile. Per risolvere un problema bisogna anzitutto parlarne, e molto. È quello che sta ottenendo con enorme successo Greta. Se non il clima, almeno l'inquinamento ambientale potrebbe subire una svolta. Il che già sarebbe un'enormità. Non snobbiamo o sbeffeggiamo Greta, le generazioni future potrebbero esserle grate.

UNA COMICA AUTO DENUNCIA

A Davos, rinomata località montana Svizzera, da un certo numero di anni si svolge il WEF (World Economic Forum) Forum Economico Mondiale. Questa è un'istituzione che riunisce ogni anno i maggiori dirigenti politici ed economici mondiali, e ha come scopo "il miglioramento dello stato del mondo". I Grandi della terra vengono messi a confronto con giornalisti e accademici, e al termine del meeting vengono stilati dei rapporti di ricerca. Al centro del Forum ci sono ovviamente i temi dell'economia globale ma non solo, si parla anche di governance, sicurezza internazionale, ecologia planetaria e altri argomenti d'attualità. il Forum di Davos insomma è un incontro informale del potere globale, un'occasione in cui il punto centrale non sono solo le conferenze pubbliche, ma anche gli incontri a margine che avvengono rigorosamente in forma privata e a porte chiuse. Nell'edizione 2015, tenutasi lo scorso gennaio, l'intervento della massima personalità italiana, nell'occasione il nostro Ministro del Consiglio Matteo Renzi, è stato introdotto dalla proiezione di un suggestivo video realizzato dal nostro Ministero per lo Sviluppo con l'obiettivo di sfatare alcuni luoghi comuni legati all'italianità. Nel filmato, ben noto oggi al pubblico, la prima inquadratura è dedicata ad un paio di mani impolverate di bianco che il commento sovraimpresso «Pizza Makers?» (traducibile in Produttori di pizza?) lascerebbe presupporre appartenere ad un pizzaiolo, ma che, allargandosi il campo della ripresa, si scopre siano mani impolverate non di farina ma di gesso, impiegato da un architetto per la realizzazione del calco di una futuristica realizzazione ingegneristica, con l'apparizione della scritta «L'Italia è leader mondiale nella realizzazione di infrastrutture: mille in 90 Paesi». In modo simile, sempre con doppia interpretazione di immagini, i video susseguenti si soffermano su altri luoghi comuni nostrani: gli «italiani latin lover?», per evidenziare invece "le loro eccellenze nel settore manifatturiero d'alta gamma"; gli «italiani drogati di feste?», e invece "ricercatori ai primi posti nelle classifiche mondiali"; «italiani gesticolatori?» no, "campioni anche nelle tecnologie avanzate"; «italiani eterni bambini?», no, "partner in progetti aerospaziali"; «italiani fissati col cibo?», e invece "esportatori di 40 miliardi di euro nell'agroalimentare". Il tutto per portare alla conclusione che: «Quest'anno l'Italia mostrerà le sue eccellenze a più di 140 Paesi con l'Expo di Milano». Bene, una promozione veramente piacevole, ben realizzata e graffiante del Made in Italy, che nelle prossime settimane apparirà sugli schermi televisivi di mezzo mondo. Ma c'è un altro messaggio implicito racchiuso in questo video, che suona beffardamente come un autogoal, una clamorosa autodenuncia del mondo politico promotore del video stesso. Chi offusca l'immagine del genio italiano, chi frena e ostacola queste qualità che, nonostante la crisi imperante (in via di soluzione negli altri Stati dell'Unione Europea, ma non da noi), tengono ancora alta l'immagine dell'Italia che produce; chi tergiversa da decenni senza varare le indispensabili riforme? La risposta è semplice ed inequivocabile: una classe politica indegna, mirante esclusivamente a non perdere consensi e a mantenere i propri privilegi.

L'OPPORTUNISMO E LA DECENZA

Abbiamo un nuovo governo, l'ennesimo della tribolata storia recente della Repubblica Italiana. E' nato in modo rocambolesco e ci è difficile capire quali siano state le strategie di palazzo dei protagonisti. Improvvisamente decine di politici italiani che fino a poche settimane fa regalavano ai media affermazioni profondamente ostili e dispregiative verso il partito rivale oggi hanno improvvisamente mutato tale atteggiamento, e camminano a braccetto dei nemici giurati. Non siamo nati ieri, armistizi e opportunistiche alleanze fra forze politiche avverse non è la prima volta che avvengono.
Rispetto ad altri tempi cambiano però stile e modalità, con azzeramento del senso del pudore, nell'assoluta mancanza di rispetto del voto elettorale, della volontà degli elettori.
Che senso ha seguire ore ed ore di programmi televisivi e di comizi, ascoltando i discorsi pre-elettorali dei leader di Partito, dei candidati alle Camere, dei candidati Consiglieri Regionali, ecc. ecc., per recarci a votare con discreta cognizione di causa, se poi promesse e programmi vengono disattesi per giochi di potere o semplicemente golosità di poltrone?
Nel periodo 2013-2017, all'interno di Camera e Senato, in ben 566 casi si è assistito al passaggio di politici da un partito all'altro.
Poiché sono state 347 le persone coinvolte, ciò dimostra che alcune di esse questo cambio lo hanno effettuato anche più di una volta!
E' accettabile tutto questo, seppur in una società dove i valori morali non sono più considerati tali, ma solo nostalgici rigurgiti di bigottismo? Tanti elettori, seppur in spregio dei propri leader, continuano a votare il medesimo partito; un voto dato ai valori di quest'ultimo e non ai suoi estemporanei poco graditi rappresentanti.
Ma i valori di un partito sono proprio quelli dei suoi conduttori, proposti agli elettori dalla "base" del movimento medesimo.
Che oggi una moltitudine di politici prosperino sbandierando i valori di galantuomini come Berlinguer, De Gasperi, La Malfa, e tanti altri onesti artefici della nostra società in decadimento, senza reggerne minimamente il confronto morale ed umano, è una penosa realtà.

IO SONO PERCHE' NOI SIAMO

Veloci si avvicinano le celebrazioni festive conclusive di un 2014 grigio, e quelle iniziali di un 2015 ricco di incognite. Una breve pausa condita di stereotipati festeggiamenti, poi la vita nel nuovo anno riprenderà i suoi soliti ritmi.
Riprenderanno i baciati dal benessere economico e familiare, sazi di regali e reduci da vacanze esotiche; e riprenderanno gli indigenti, i malati e le persone sole che vivranno la conclusione delle feste e del conformista obbligo al divertimento come una liberazione.
Per alcuni di noi il suggestivo passaggio da un anno all'altro alimenterà ancora un'ingenua speranza di rinnovamento e di rinascita; per molti altri, disillusi da antiche promesse e speranze infrante, il cambio d'anno si svolgerà nella più totale indifferenza. Comunque sia si ricomincerà.
Riapriranno le aziende nell'ormai quotidiana lotta per la sopravvivenza in una crisi che si trascina pesantemente. Riprenderà la vita scolastica. Riprenderà la ricerca di un posto di lavoro da parte dei disoccupati e la trepida attesa dei cassintegrati. Riprenderanno le rivendicazioni delle categorie più vulnerabili e trascurate. E riprenderanno imperterrite le schermaglie politiche dei governanti, sempre più fini a se stesse piuttosto che non al servizio dei cittadini.
Certamente le difficoltà economiche del paese stanno mettendo a dura prova gli equilibri sociali che si erano faticosamente raggiunti alla fine dello scorso millennio. Il moderato benessere di cui poteva godere l'italiano medio si è drasticamente ridimensionato, come se già non pesasse il severo taglio al potere d'acquisto degli stipendi causato dall'avvento dell'Euro.
Si riprenderà tutti insieme, ciascuno con le proprie speranze, ma non sempre nella consapevolezza di essere comunque tutti legati gli uni agli altri da un filo invisibile.
Molto spesso, chi gode di una situazione privilegiata e vive in un egoistico disinteresse nei confronti degli altri, nella propria cecità non capisce che la qualità della propria vita è legata alla qualità della vita altrui. Non solo moralmente, ma anche nelle cose spicciole di tutti i giorni.
Una massima Ubuntu, propria delle tribù africane di etnia Xhosa, che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone ed esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri è "I AM BECAUSE WE ARE" ovvero "IO SONO PERCHE' NOI SIAMO".
Chi è più "civile" tra noi e loro?
A tutti Buone Feste!

I GIOCATTOLI ROTTI DEGLI ITALIANI

Per molto tempo il principale motivo di passione per gli italiani è stata la Politica. L'ideologia, i partiti, i leader, hanno sempre coinvolto le persone e suscitato senso di appartenenza. Anche in senso "opposto". Perché anche l'antipolitica, in fondo, è una sorta di ideologia politica. Su un altro e diverso piano, le passioni pubbliche sono invece state promosse dallo sport, soprattutto dal calcio, che ha sempre offerto luoghi, colori e bandiere alle identità personali. Ma le cose sono cambiate.
Questi legami si stanno logorando. La politica ha perso credibilità. Più che appartenenza suscita distacco, indifferenza, o addirittura disgusto. Il calcio (suicidatosi il ciclismo per gli innumerevoli trascorsi casi di doping) era ciò che riscaldava il sentimento sportivo degli italiani. Ma anche questa passione vive un momento (provvisorio?) di declino. Lo dicono la presenza degli spettatori negli stadi, mediamente vuoti per quasi metà, ma pure la decisa flessione dei dati di ascolto televisivi Sky e Mediaset Premium, di anno in anno in trend sempre più negativo. Un'evoluzione della personalità degli italiani?, oppure una perdita di interesse causata dall'assenza di protagonisti coinvolgenti in campo politico e sportivo? La seconda ipotesi parrebbe la più verosimile.
Infatti in Italia è in netto aumento l'ascolto del calcio giocato nei campionati esteri, vibrante per spettacolo e imprevedibilità, rispetto alla monotonia del nostro campionato dominato dallo strapotere della Juventus. Il calcio italiano è diventato un mercato in "svendita", in cui entrano imprenditori americani, indonesiani, cinesi: dilettanti allo sbaraglio.
Stesso dicasi per la politica: si partecipa di più alle vicende internazionali dominate da Trump,Putin, Kim Jong-Un, Duterte e compagnia bella, piuttosto che alle telenovelas delle comparse nostrane sapientemente immortalate dall'esilarante Crozza. Ma funziona così. Quando il giocattolo si rompe, e ci si annoia, lo si sostituisce con qualcos'altro.

Panem et circenses

"Panem et circenses " è una locuzione attribuita al poeta satirico latino Giovenale. La sua traduzione letterale è "pane e giochi circensi", da interpretare come "la gente l'hai in pugno se garantisci cibo e divertimenti". Giovenale amava descrivere l'ambiente in cui viveva, in un'epoca nella quale chi governava si assicurava il consenso popolare con elargizioni economiche (donazioni di frumento e altri alimenti) e con la concessione di svaghi (le corse dei cocchi trainati dai cavalli e le battaglie tra gladiatori che si svolgevano in immense arene quali erano il Circo Massimo e il Circo di Massenzio). Per estensione la locuzione è stata successivamente usata, soprattutto in funzione critica, per definire l'azione politica di singoli o gruppi di potere volta ad attrarre e mantenere il consenso popolare mediante distribuzione di doni e organizzazione di attività ludiche collettive. Con pari significato in Campania si usa, meno frequentemente, l'espressione "Feste, farina e forca" in uso nella Napoli del periodo borbonico, in cui a feste pubbliche e a distribuzioni di pane si accompagnava la pratica di numerose impiccagioni pubbliche, come dimostrazione di capacità del potere politico di assicurare il benessere e il mantenimento della legalità. L'espressione Panem et Circenses alludeva quindi ad un meccanismo di potere influentissimo sul popolo romano; era la formula del benessere popolare e quindi politico, un vero strumento in mano al potere per far cessare i malumori delle masse. Cosa c'entra tutto questo col giorno d'oggi, duemila anni dopo? C'entra, c'entra. In una società portata sull'orlo del collasso dalla persistente crisi economica, con una classe politica avente minimi consensi presso la popolazione, la formula cara agli antichi governanti Romani menzionata da Giovenale diventa di un'attualità sconcertante. Ma alla rovescia. Ai fini del consenso popolare si rivelerebbe tutt'oggi efficacissima la tattica di distribuire decine di chili di "frumento" e organizzare tornei ludici nelle arene, è una tattica che ha premiato ciecamente i politici del recente passato portando però alla rovina le casse dello Stato. Ora il problema è che di "frumento" da distribuire il governo proprio non ne ha più, e ottenere lo stesso effetto calmierante sulle folle potendo elargire ai cittadini solo più o meno convincenti promesse di moralità e morigeratezza nella gestione della res pubblica diventa per i politici neo insediatisi una coraggiosa scommessa. Impiegare i media per una divulgazione massiccia di distrazioni ed evasioni di ogni tipo destinate ad ogni categoria di utenti potrebbe non bastare. Dopo il festival del Campionato Mondiale di calcio per noi penoso, contare sugli stadi calcistici che da settembre in poi assicurano dibattiti e diatribe sportive che distraggono per buona parte dell'anno milioni di tifosi, occupati e disoccupati, potrebbe non bastare. Siamo tutti diventati economicamente più poveri, a volte sulla soglia dell'indigenza, e non più puerilmente indulgenti verso la classe politica una volta sazi di reality show Tv ben confezionati oppure di buoni piazzamenti in campionato della propria squadra del cuore. Auguriamoci realmente che le recenti votazioni europee possano aver favorito finalmente indicazioni e basi più solide per un futuro che oggi sa regalare solo incertezze e timori: di tempo da perdere non ce n'è proprio più.

IMMIGRATI, DA SALVATI A SALVATORI?


Scalpore e infinite schermaglie politiche
hanno suscitato nelle scorse
settimane le esternazioni del presidente
dell'INPS Tito Boeri, secondo
il quale il fenomeno dell'immigrazione
è indispensabile per garantire nel
futuro il pagamento delle pensioni
agli italiani. Siamo quindi ancora una
volta a parlare di stranieri. Secondo Boeri in Italia
ci sarebbero tre milioni di immigrati che versano
ogni anno otto miliardi di contributi sociali, ricevendone
al momento solo tre in termini di pensioni e
altre prestazioni sociali, quindi con un saldo netto
di circa cinque miliardi per le casse dell'Inps. Uno
stop agli ingressi di stranieri regolari provocherebbe
una perdita al gettito contributivo che supererebbe
i 70 miliardi di euro, portando al collasso il sistema
contributivo italiano. Se questa teoria fosse corretta,
non potremmo che essere da un lato nauseati
per la gestione criminale delle future pensioni da
parte dei nostri governanti, e dall'altro spaventati
per il rimedio prescelto. Con le migliori intenzioni
l'ingresso in ogni comunità di un importante numero
di stranieri non può che causare uno shock
culturale e conseguenti reazioni di rigetto via via
crescenti con l'aumentare della percentuale degli
"intrusi". E' evidente che l'ideale sarebbe una veloce
integrazione, ma questa è resa fisicamente
possibile soltanto quando si realizzi un razionale
equilibrio tra numero degli arrivi, la distribuzione
nel tempo degli stessi, la superficie e la densità di
popolazione coinvolte nel luogo d'accoglienza. Nulla
di tutto ciò a cui stiamo assistendo. I problemi
non derivano tanto da differenze religiose, quanto
da abitudini di vita, consuetudini sociali e familiari,
legislazioni e tradizioni in varia misura ben diverse
dalle nostre. Alcuni addirittura si sentono portatori
di una cultura più forte e giudicano la nostra tolleranza
un sintomo di debolezza e di decadenza.
Volendo essere ottimisti, quanto tempo richiederebbe
l'assimilazione di questi milioni di individui
a noi estranei? Se consideriamo cosa accade negli
Stati Uniti dopo secoli di convivenza tra bianchi,
afro-americani, sudamericani e caraibici non c'è
da essere troppo fiduciosi. Considerare i migranti
una risorsa, affrontando la realtà con assurdo buonismo,
comporta senza ombra di dubbio il sottovalutare
conseguenze sociali dirompenti

UN FUTURO IN BALIA DELLA FINANZA

Chi avrebbe immaginato che il nuovo millennio, al posto di portare straordinarie soluzioni tecnologiche ai problemi dell'uomo europeo, ne avrebbe messo in ginocchio l'esistenza con subdoli intrighi di finanza?
E' un interrogativo attuale in ogni nazione del continente, con poche eccezioni, salvo non si ritenga normale rischiare il posto di lavoro da un giorno con l'altro, o vedere la rata mensile del mutuo aumentare oltre le proprie capacità, o vedere il figlio laureato da cinque anni in continua inutile ricerca di un'assunzione, e via dicendo.
Questo è il quadro di una società che è cresciuta economicamente in modo sano per buona parte del secolo scorso, salvo poi essere coinvolta pesantemente nei giochi bancari internazionali, che la globalizzazione ha esasperato e reso ancor più imprevedibili.
Che ne può sapere di " bolle speculative" un cittadino che si accinge a sottoscrivere un mutuo, o ad investire i propri risparmi in un prodotto finanziario, rischiando di ritrovarsi con una rata di mutuo inaffrontabile, o i risparmi dimezzati?
Meglio i vecchi tempi della gloriosa Banca Agricola Mantovana ( prima che finisse in pancia a Monte Paschi), in cui la clientela "semplice" poteva dormire sonni tranquilli con un mutuo fondiario a ragionevole tasso fisso, oppure ottenere un interesse proporzionato all'inflazione con un banale libretto al portatore.
Ma era destino che la spregiudicata finanza americana appestasse i nostri istituti di credito, in questo allegramente consenzienti e collaboranti, rendendo necessari salvataggi governativi ed altre acrobazie contabili, che hanno comunque lasciato le banche sì in vita, ma con bilanci inguardabili, in molti casi sul filo del rasoio. Difficile per esse, in queste condizioni, erogare credito se non supergarantito dal richiedente.
Le nostre aziende, già in difficoltà a causa di produzioni tremendamente concorrenziali provenienti dai paesi cosiddetti "emergenti", vedono così frustrate da ardui finanziamenti bancari (un tempo sin troppo facili da ottenere) le proprie strategie per reggere i mercati.
Le banche, un tempo motore di un'economia puntellata dal credito, oggi hanno così assunto il detestato ruolo di manovratrici di un'economia centellinata che si è abbattuta come un boomerang su esse stesse, rendendole pressoché indisponibili per la gente, se non a basso rischio, cioè difficilmente.
Il nostro mondo del lavoro, basato sul credito bancario cui potevano accedere sulla base della fiducia una miriade di piccole e medie aziende, è alle corde. E i "consumi" ristagnano. Di questi un esempio eclatante è l' edilizia, settore lavorativo trainante.
Abbiamo il potenziale acquirente di una casa che non ottiene il mutuo, ciò che impedisce all' imprenditore edile di vendere i propri appartamenti causandone la cessata attività con conseguenti licenziamenti di personale, che a loro volta aggravano ulteriormente la stasi di consumi mettendo in crisi altre aziende, causando altre perdite di posti di lavoro, e così via; una concatenazione perversa.
E' così per ogni settore produttivo, chi più chi meno; un autostrangolamento da cui non si sa come uscirne, e di cui a soffrirne sono come al solito le fasce sociali più deboli.
Come detto inizialmente un bel salto di civiltà all'indietro, che ineluttabilmente ci impoverirà economicamente (lo siamo già ora confrontando il potere d'acquisto del nostro stipendio con quello pre-euro), e chissà se la finanza, anima del terziario e del mondo futuro, trarrà da questi anni di crisi una lezione per un comportamento etico, tagliato sulle reali necessità dell'individuo. Difficile pensarlo, ma auguriamocelo.

LA PIRAMIDE DELLA FELICITÀ

Aprile. L'inverno ha compiuto il suo corso e, come per magia, tornano quella luce speciale del sole e quella leggerezza dell'aria che annunciano l'arrivo della primavera. La prima sensazione che ci pervade (prima di rimettere la testa sui problemi, sui conti, sulle grane...) è quella di felicità. Una felicità istintiva, irrazionale, quella che si prova quando si è bambini e tutto ci sorride. Una sensazione che fa riflettere, soprattutto constatando come per strada, intorno a noi, nonostante la luce intensa di una splendida mattinata, ci siano tante facce inespressive. Volti assorti, a volte cupi, chini sul proprio smartphone a consultare chissà quali siti e problematiche. Dove vanno e cosa fanno tutte queste persone, tanti più giovani di noi, trentenni, quarantenni che dovrebbero alzarsi dal letto con la voglia di sbranare il mondo? Che cosa pensano, che cosa li preoccupa, che cosa li renderebbe soddisfatti? Per tentar di capire se esiste una formula della felicità si può riconsiderare la teoria della "piramide" dello psicologo statunitense di origini russe Abraham Maslow, che a metà del secolo scorso classificò i bisogni dell'uomo secondo una piramide di progressive necessità. Chi sta alla base della piramide vive nella pochezza e nell'insoddisfazione. Chi riesce a migliorare la propria condizione e riesce a costruire il proprio futuro e la propria personalità si ritrova via via sempre più in alto in questa piramide. Certamente vi è la consapevolezza che costruirsi una strada per essere felici non dipenda solo da sé e dal proprio atteggiamento positivo verso la vita, ma pure da eventi, talvolta casuali, che la vita la spianano o la rendono complicata. La cima della piramide la si raggiunge solo quando c'è una corrispondenza tra ciò che si è e si sarebbe voluto essere, e quindi come ci si vede allo specchio, sentendosi soddisfatti di sé, ovvero "felici". Questa teoria della piramide ci chiarirebbe perché viviamo in mezzo a una massa di imbronciati. In una società in cui seri problemi economici frustrano i propri sogni, in particolare quelli dei giovani, e ancor più seri problemi ambientali e di costume minacciano il proprio quieto vivere, anche la primavera più fantasmagorica ci può lasciare indifferenti. Ma è altresì vero che saper godere delle bellezze della natura, identiche per tutti i livelli della piramide, può essere una via per rendere la vita un poco, o tanto, addolcita.

LA SCIMMIA NUDA

Negli anni ’70 Desmond Morris, uno stimato zoologo inglese, divenne milionario scrivendo un best seller che si impose nelle librerie di tutto il mondo : “La scimmia nuda”.

Il libro, che suscitò infinite discussioni tra pensatori e scienziati, analizzava le caratteristiche dell’unica tra le 192 specie di Primati (scimmie) esistenti al mondo a non essere ricoperta dal pelo: l’uomo.

Al di là dei rigorosi contenuti scientifici del libro, che ne sostennero il successo, a fare scandalo fu la provocatoria disamina dell’ homo sapiens visto quale evoluto scimmione nudo. A scuotere i lettori fu, ed è tuttora, la forzata presa di coscienza di quanto l’umanità dopo decine di millenni non riesca a liberarsi completamente dai propri istinti primordiali meno nobili nello svolgimento della vita sociale.

Abbiamo raggiunto affascinanti traguardi tecnologici, musei e biblioteche traboccano di sublimi opere, istituzioni religiose e laiche hanno ispirato eroiche iniziative umanitarie, eppure individualmente siamo sempre incredibilmente vulnerabili nei nostri egoismi animali, nelle nostre pulsioni, che spesso vanno a minare il corretto rapportarsi con gli altri. La scimmia nuda non la ritroviamo solo nella criminalità violenta, nello squallido avvicendarsi sulle strade attorno ai fuochi notturni delle prostitute, nell’autolesionistico sollazzo procurato da una droga pesante, nella disonestà politica, e via dicendo; la scimmia nuda la ritroviamo nelle attività basate sul raggiro dei più deboli e dei più indifesi per il proprio miserabile tornaconto; la ritroviamo ogni qual volta c’è assenza di sensibilità verso la sensibilità altrui. Che il sopruso si compia in un quartiere malfamato o in uno splendido ufficio direzionale, nell’esercizio di uno sport o in un’aula parlamentare, nulla cambia. Sempre di scimmie nude si tratta.

Oggi siamo alle prese con i danni economici causati da una classe politica che ha agito in funzione dei propri consensi e non al servizio della gente; il malcostume politico che abbiamo tollerato in periodi economici di vacche grasse ora ci si è ritorto contro. Tutto ciò ci riporta ad una beffarda constatazione: rifiutiamo sdegnati un’ipotetica discendenza da mangiatori di banane, ma un milione di anni dopo, pur con aspetto esteriore più gentile di quanto non fosse quello di un australopiteco, siamo ben distanti dal garantire a tutti gli individui della comunità un’esistenza senza patemi d’animo, come almeno avveniva allora nella solidarietà del branco.

Marco Morelli

LAST MINUTE

Natura e Ambiente