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IL BELL'ANTONIO

Si fa parola, l'impotenza. Handicap che si accompagna all'impossibilità di rivelare agli occhi del mondo chi si è, quando lo si vorrebbe tanto, abbattendo tutti i muri dell'ipocrisia. Succede in un bellissimo testo per il teatro, 'Il Bell'Antonio' di Vitaliano Brancati, portato in scena al Manzoni di Milano dal 9 al 26 gennaio per la regia di Giancarlo Sepe, in un progetto per i sessant'anni dalla morte del grande scrittore. Adattamento curato da Antonia, figlia di Brancati, insieme a Simona Celi, che ne rispettano l'originalità di fondo, unita alla storia, coinvolgente e difficile per i tempi. Nel mondo 'Il bell'Antonio' è il secondo romanzo italiano più letto e amato dopo 'Il Gattopardo' e i perché sono molteplici. Uno scenario, la Sicilia, guardata con nostalgia dagli emigranti negli Stati Uniti che la portano nel cuore e vorrebbero un giorno ritornare. Ma anche un modus vivendi in cui i sentimenti, i profumi forti di una regione, la sensualità che incarna sono così distanti dai ritmi convulsi dei quali siamo prigionieri oggi In molti di noi è vivo ancora il ricordo dell'interpretazione magnetica che del bell'Antonio diede Marcello Mastroianni diretto da Bolognini. Condizione imprescindibile per essere Antonio, la bellezza. Che si fa danno, in questo caso, perché trasporta lo spettatore e prima ancora il lettore a immaginare una condizione, il tombeur de famme, in realtà maschera di tutt'altro status. Siamo in epoca fascista ed essere Antonio non è facile. Darlo a bere, sì. È semplicissimo. Circondato di donne, attratte dall'avvenenza e dal fascino immortale che esercita il tenebroso, un topos della letteratura, il giovane di buona famiglia si rassegna a una esistenza fatta di corteggiamenti ricevuti, a un lassismo di chi sa che non avrà molto da sudare nella vita, grazie alle cure di mamma e papà adoranti il maschio di casa. Nella Sicilia di allora, e fors'anche di adesso, un figlio maschio eredita giocoforza le doti amatorie paterne nello stereotipo comune. La verità è un'altra e racconta di un Antonio incapace non solo di amare, in senso emozionale e fisico, ma anche di comunicare chi è, chiuso dentro una parte che non è la propria e costretto a recitarla sempre e ovunque, con genitori, popolo e fidanzata. Fino a generare equivoci giganteschi, poiché la verità, fosse anche una sessualità indefinita e tutta da scoprire, risulta inaccettabile.
 Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti si ritrovano sul palcoscenico e fanno faville nei ruoli di padre e zio. Mentre Luca, figlio di Andrea, lo è anche sul palcoscenico, interpretando la carne e la psiche deboli del protagonista, in balia degli altri e di un se stesso pesante da mandare giù, come un sasso. Bravi tutti, in una lettura teatrale rigorosa e sofisticata, ma anche distaccata, forse troppo, per un testo di spessore immenso, retto da una manciata di attori di razza, compresa Simona Celi. Applausi.

NON CHIEDERTI COSA UN GHOST WRITER…

Guardate la faccia di Andre Agassi sulla copertina di “Open”: sorriso tirato, occhi che bruciano, tensione. Stava perdendo e male quando è stata fatta la fotografia, la vita privata era “in fase di frana”, per dirla alla Woody Allen, con l'ex moglie Brooke Shields e la strada in salita. Il tennista dall'orecchino ad anello ha travasato i suoi dolori in modo mirabile nella biografia sportiva più letta del decennio, monologhi scritti con il cuore in mano. No, non è andata proprio così. Dietro Andre c'è J. R. Moehringer, il ghost writer. Agassi lo ringrazia a pagina 495. Natali difficili, premio Pulitzer nel 2000, laureato a Yale e fattorino a inizio carriera per il New York Times, J. R. è la persona che il tennista ex numero 1 dell'ATP stava cercando per redigere il suo memoir uscito nel 2009. Ma il giornalista non era un ghost writer all'epoca. Il retroscena viene svelato al Festivaletteratura di Mantova 2013, la penna newyorkese è ospite dell'incontro più seguito, intervistato da Beppe Severgnini e incalzato da Valerio Mastandrea. Piazza Castello gremita di gente vuole vedere che viso ha lo scrittore fantasma e ascoltare come scrive bene. Le parole ben scelte, fluide, scorrono nella voce dell'attore romano. E' il momento del risveglio che precede la partita più importante degli US Open 2006. Come un Amleto dello sport, combattuto in un conflitto interiore che lo tiene in bilico tra il gioco e il ritiro, Andre è una biografia che cammina. Il racconto di una puntura al cortisone che prima fa miagolare il tennista, e poi lo riabilita, è uno degli apici del libro. Ma questo è Agassi, no è Moehringer.

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FESTIVALETTERATURA, INTERVISTA A GIACOMO MARRAMAO

Protagonista di un'appassionata “lezione” in piazza Sordello, il professor Giacomo Marramao è stato tra i personaggi più seguiti del Festivaletteratura 2013. Ricercatore a Francoforte dal 1971 al 1975, tra il 1976 e il 1995 ha insegnato Filosofia e Storia delle Dottrine Politiche all'Istituto Universitario Orientale di Napoli ed è stato visiting professor in numerose università europee e americane. Attualmente è Professore Ordinario di Filosofia politica e Filosofia teoretica all'Università di Roma Tre, membro del Collége International de Philosophie di Parigi. Lo abbiamo intervistato, anche in relazione agli ultimi, terribili accadimenti internazionali.

- Contro il potere (Bompiani) è il titolo del suo ultimo saggio e proprio con questa tema ha appassionato gli spettatori del festival. Il potere ha il suo motore principale nella politica, e quanti esempi si possono fare, da quella italiana a quella internazionale. Ma si manifesta anche nella cultura, nella pubblicità, nei consumi attraverso un enorme potere di condizionamento, in questi ultimi casi.
Come resistere al canto delle sirene e ragionare con la nostra testa?

Uno delle tesi centrali del mio libro è che, nel mondo globalizzato, la politica istituzionale non rappresenta più il luogo proprio e l’istanza decisionale del potere. Questo luogo - o meglio: questi luoghi - vanno individuati nelle sedi delle grandi corporations e della finanza globale.

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