Articoli

SAN BENEDETTO IN POLIRONE: UNA CHIESA TUTTA DA SCOPRIRE

abbazia foto carloperinifotografie low

Chi entra oggi nella chiesa di San Benedetto Po spesso non immagina che questo grande edificio, monumentale come pochi altri in pianura, è diventato una chiesa parrocchiale solo in un secondo momento. Per secoli è stato il cuore spirituale di un'abbazia benedettina tra le più potenti dell'Italia settentrionale che qualcuno ha definito "La Montecassino del Nord". Poi arrivò Napoleone e bastò una firma per sopprimere il monastero e disperdere i monaci: era il 9 marzo del 1797. Fu allora che si decise di demolire l'antica chiesa parrocchiale di San Floriano conservandone solo il campanile. La chiesa dell'abbazia divenne allora quella del paese di San Benedetto Po ma basta osservarne le dimensioni e la facciata per capire che la sua storia veniva da lontano, da molto lontano.

Il sagrato, la facciata e i 12 apostoli
La facciata della chiesa attuale è stata realizzata su progetto di Giulio Romano che invitato dall'abate Gregorio Cortese porta il rinascimento al Polirone. E' un loggiato a serliane che era sormontato da timpani triangolari. Il loggiato aereo attuale al centro della facciata è stato realizzato nel '700 per proteggere l'organo della controfacciata dalle infiltrazioni. Davanti alla chiesa si apre un sagrato delimitato da una balaustra su cui sono poste le statue dei 12 apostoli. Oggi è la piazza del paese ed è difficile pensare che un tempo questa corte monastica fosse chiusa agli esterni ma lo si capisce se si osserva al termine dei portici il voltone che era l'ingresso del monastero e la cui facciata si trova dalla parte opposta.

Dentro la navata: il lifting di Giulio Romano
Quando si entra si ha la sensazione di essere in una chiesa del Cinquecento. Ma è un'illusione ben studiata. Sotto le serliane che separano le navate si nasconde infatti la struttura gotica. Giulio Romano decide di mascherare l'impianto medievale con un maquillage architettonico che decora anche le volte a crociera: il gotico non era più di moda e l'allievo di Raffaello fa quello che oggi chiameremmo un restyling completo.

San Simeone e la fortuna del monastero
A sinistra dell'ingresso c'è la cappella che ospita il corpo di San Simeone, eremita arrivato a San Benedetto poco dopo la sua fondazione nel 1007 e che morirà il 26 luglio del 1016. Bonifacio di Canossa riuscirà a farlo canonizzare dal papa nel 1024. Per un monastero avere un santo all'interno della chiesa era una sorta di calamita per i pellegrini e per le offerte dei fedeli. Di fianco all'ingresso della cappella una statua in terracotta rappresenta San Simeone con la cerva, uno dei suoi attribti e che diventerà anche il simbolo di San Benedetto in Polirone.

Antonio Begarelli: statue in terracotta di santi per un paradiso in terra
Chi passeggia tra le cappelle laterali della chiesa viene osservato da figure a grandezza naturale che sembrano voler scendere dalle nicchie che le ospitano. Sono le statue in terracotta dello scultore oblato benedettino Antonio Begarelli. Realizzate presso il monastero rappresentano santi della tradizione benedettina e non solo. Tra le più belle ricordiamo quella di San Giorgio e il drago e di Sant'Antonio abate che qui non ha il porcellino al fianco ma il fuoco detto di Sant'Antonio appunto. Un tempo erano ricoperte di bianco per farle sembrare di marmo ma oggi che hanno recuperato il caldo colore della terracotta sono ancora più belle.

Il coro dei monaci
Oggi il coro si intravede nello spazio che viene circondato dal deambulatorio, il corridoio che percorre tutta la lunghezza dell'abside della chiesa. E' un capolavoro di intaglio cinquecentesco che rimanda subito all'immagine dei monaci che cantano le lodi del signore. La sua collocazione originaria era speculare rispetto a quella attuale e copriva completamente ai fedeli la vista dell'altar maggiore così come succedeva di regola nelle abbazie benedettine.

La chiesa di Santa Maria: Matilde di Canossa sepolta al Polirone
Alla fine della navata sinistra e all'inizio del deambulatorio si entra nella chiesa di Santa Maria, uno dei luoghi più antichi dell'abbazia. Fu qui secondo la tradizione che chiese di essere sepolta Matilde di Canossa morta il 24 luglio 1115 e qui transitavano i corpi dei monaci defunti per l'ultimo saluto. Sul pavimento della chiesetta, rinnovata poi nel periodo barocco, rimane un mosaico pavimentale dove si mette in scena la lotta tra vizi e virtù, una metafora dell'impegno della Gran Contessa a favore della chiesa. La sepoltura di Matilde fu poi spostata ma in questo luogo si respira ancora l'atmosfera del monastero delle origini.

Il sepolcro di Matilde senza Matilde
Di fianco alla sagrestia troviamo invece l'ultimo luogo di sepoltura di Matilde di Canossa. Oggi è un sepolcro vuoto coronato da un quadro di Orazio Farinati che rappresenta la gran contessa a cavallo con una melagrana in mano. La leggenda vuole che all'interno del sepolcro sia rimasta solo una delle pantofole di Matilde, il cui corpo fu venduto dai monaci del Polirone nel 1633 a papa Urbano VIII Barberini, per rimpinguare le casse vuote del monastero a seguito della peste portata dai Lanzichenecchi. Oggi Matilde riposa nella basilica di San Pietro a Roma in un sepolcro segnalato dal monumento funebre realizzato da Bernini.

Il campanile: la serliana che suona le ore
Giulio Romano ha lasciato la sua firma anche sul campanile dell'abbazia, elemento iconico dell'intero complesso. Alto, robusto, in mattoni, custodisce una cella campanaria decorata con una serliana: tre aperture con arco centrale che alleggeriscono la struttura e la rendono elegante. È un dettaglio raffinato che troviamo in altri luoghi del monastero come ad esempio nella navata centrale della chiesa o nell'atrio della biblioteca monastica.

Una chiesa che è una macchina del tempo
La chiesa abbaziale di San Benedetto in Polirone è molto più di un edificio religioso: è una macchina del tempo che ci porta dal Medioevo all'età moderna, da Matilde di Canossa a Giulio Romano, dai monaci benedettini ai parroci del Novecento. È un luogo in cui l'arte e la storia si sono date appuntamento, e dove ogni pietra ha qualcosa da raccontare. Se non ci siete mai stati, andateci. Se ci siete già stati, tornateci. Perché qui, ogni volta, si scopre qualcosa di nuovo.

IN APERTURA FOTO CARLO PERINI